Quando i saperi dialogano

Ott 6, 2022 | Nuova Stagione

“In questo tempo: dove e con chi camminiamo?” – terza Sessione generale del XXXI Sinodo di Napoli – ha fatto tappa all’Apple Developer Academy dell’Università Federico II a San Giovanni a Teduccio. Un’occasione propizia per condividere, nella nuova e già prestigiosa sede universitaria, “un segno di speranza per i giovani napoletani e volàno importante per tanti giovani non napoletani che cercano Napoli per sognare il proprio futuro lavorativo”.

La Apple Developer Academy, inaugurata nel 2016, ha già formato migliaia di studenti campani e di provenienza internazionale che, tramite tutor e docenti acquisiscono le basi per imparare a progettare un’app, a disegnarla, a produrla, a fare marketing, a renderla disponibile per gli utenti. Si forniscono strumenti e formazione per trovare e creare lavoro nella crescente economia delle app che vale oltre 1,7 milioni di posti di lavoro solo in Europa.

Insomma, una fattiva realtà che guarda alla formazione nell’era della rivoluzione digitale. Virtuoso, pertanto, l’incontro tra saperi che possono incontrarsi e dialogare per pensare, insieme, un nuovo umanesimo digitale che riconosce la peculiarità dell’essere umano e delle sue capacità, servendosi delle tecnologie digitali per ampliare, non per restringerle; che si distingue dalle posizioni apocalittiche perché confida nella ragione propria degli esseri umani e che si differenzia dalle posizioni eccessivamente entusiaste perché considera i limiti della tecnologia digitale.

È un campo di riflessione, questo, molto attuale in ambito bioetico. Anche conflittuale e problematico. In particolare, in relazione allo sviluppo e all’applicazione degli algoritmi fino a giungere, secondo i transumanisti, a poter elaborare nuovi paradigmi sul futuro dell’uomo e ridisegnare, con il postumano, l’identità e l’evoluzione della nostra specie. Vale a dire un essere, naturale o artificiale con capacità fisiche, intellettuali e psicologiche “migliori” rispetto ad un “umano normale”. Quindi con capacità cognitive maggiori degli altri; controllo emozionale totale senza sofferenza psicologica; ampliamento della vita senza deteriorarsi; corpo in concordanza con i suoi desideri.

A fronte della deriva transumanista sono da rilevare le molteplici applicazioni degli algoritmi volte al bene comune come, ad esempio, nella diagnostica e terapia in biomedicina, lo sviluppo della ricerca farmacologica e in tanti altri settori del sociale da cui si traggono evidenti benefici per l’uomo.

Proprio nel classico confronto sull’utilizzo degli algoritmi e delle tecnologie digitali, emerge la necessità dell’algor-etica. Neologismo di recente formulazione e già riconosciuto in bioetica.

Parlare di algor-etica significa mettere in campo l’esigenza di una elaborazione di sistemi informatici che siano in grado di rispettare alcuni principi fondamentali, come la tutela della privacy, la libertà personale e di educazione, la non discriminazione sociale, il controllo umano delle fonti delle informazioni. Dati che già oggi possono essere autonomamente “governati” da alcuni algoritmi. Questo richiede un processo che limiti la potente autonomia delle macchine (algocrazia). Come nel caso delle machine learning, sistemi che auto-apprendono o migliorano le performance in base ai dati che utilizzano. Fino ad arrivare al monopolio ovvero al possesso illimitato di dati sensibili, elaborati con algoritmi autoperfezionanti, da parte di pochi (global repository of intelligence).

Un progetto di algor-etica richiede che siano coinvolti diverse competenze. Non solo i programmatori ma gli stessi utenti che debbono imparare a muoversi in questo nuovo ambiente culturale. Non basta, infatti, domandarsi che uso facciamo della tecnologia, ma bisogna chiederci che uso fa la tecnologia dei nostri stili di vita, delle nostre capacità e della nostra stessa personalità. Del resto, un “buon algoritmo” non è detto che sia di per sé stesso un “algoritmo buono”, cioè capace di non privarci dell’autonomia di pensiero e di spirito critico. In un’epoca in cui rischiamo di delegare alla tecnologia molti dei processi decisionali – non solo in campo diagnostico ma anche a livello economico – occorre, quindi, che si potenzino le capacità propriamente umane di governare i prodotti tecnologici che fanno parte della nostra vita quotidiana.

Appunto, governare non significa meramente contrapporsi senza una formazione e una proposta culturale correlata. Dignità della persona, giustizia, sussidiarietà e solidarietà rappresentano, ancora una volta, paradigmi di riferimento. Ciò non significa tecnofobia, vale a dire il rifiuto o la condanna delle tecnologie. Piuttosto si richiede la corretta e virtuosa comprensione sia delle modalità di applicazione sia delle correlate evoluzioni. È una visione positiva, realistica che evidenzia sì preoccupazioni in merito al pragmatismo tecnocratico ma al contempo vede nelle tecnologie un agire promettente dell’uomo.

Sono sfide inedite. Sono segni del nostro tempo che ci interpellano e che non possiamo disattendere . 

Come Papa Francesco ha recentemente richiamato, “dobbiamo lasciarci interpellare come credenti, perché la Parola e la Tradizione della fede ci aiutino a interpretare i fenomeni del nostro mondo, individuando cammini di umanizzazione, e pertanto di amorevole evangelizzazione, da percorrere insieme. Così potremo dialogare in maniera proficua con tutti coloro che sono alla ricerca dello sviluppo umano, mantenendo al centro della conoscenza e delle pratiche sociali la persona in tutte le sue dimensioni, incluse quelle spirituali. Non basta la semplice educazione all’uso corretto delle nuove tecnologie: non sono infatti strumenti neutrali, perché, come abbiamo visto, plasmano il mondo e impegnano le coscienze sul piano dei valori. C’è bisogno di un’azione educativa più ampia. Occorre creare corpi sociali intermedi che assicurino rappresentanza alla sensibilità etica degli utilizzatori e degli educatori.”

Lucio Romano

Seguimi sui social